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venerdì 7 febbraio 2014

MOVIE CAMERA: il film documentario - Christian Coduto intervista il regista Romano Montesarchio

In questo numero pubblichiamo qui di seguito l'articolo scritto da Christian Coduto in occasione della serata di presentazione dei film documentari La Domitiana. Dove non c’è strada non c’è civiltà e Ritratti abusivi  di Romano Montesarchio.

© MOVIE CAMERA è un progetto di Stefano di Stasio





Serata di grandi emozioni al Cineclub Vittoria

I trecento spettatori accorsi in sala hanno assistito ad una doppia proiezione: “La Domitiana. Dove non c’è strada non c’è civiltà” e “Ritratti abusivi”, due docufilm ideati e diretti da Romano Montesarchio, giovane regista casertano.                                                                                               
Negli ultimi anni il genere documentaristico ha acquisito un interesse via via sempre maggiore da parte del pubblico (ne è testimonianza il recente successo ai botteghini di “Vado a scuola” di Pascal Plisson). Il bisogno di vivere la realtà attraverso il linguaggio filmico d'autore è un’esigenza che si sta facendo strada nella mente delle persone. “La Domitiana” affronta con un occhio disincantato e critico il lento ed inesorabile declino di una zona della Campania che avrebbe molto da offrire. “Ritratti abusivi” racconta con ironia la vita di alcuni abitanti della zona del "Parco Saraceno", tra illegalità e violenze quotidiane.

Mentre, tra il primo e secondo spettacolo, Massimiliano Gaudio (autore della colonna sonora dei due progetti) intrattiene il pubblico presente con uno spettacolo musicale affascinante e suggestivo, ho l’opportunità di scambiare "quattro chiacchiere" con il regista. 

C’è un’aria di amichevole complicità: Romano Montesarchio appare sereno, disponibile e padrone della materia trattata nelle sue opere. Sono argomenti che sente davvero, non sono “compitini” che si è imposti o che gli sono stati affidati. Quello di raccontare il mondo è un suo bisogno innato.                                           

“Ritratti abusivi”, esordisce,  “è una sorta di secondo capitolo de La Domitiana. Dopo quel documentario, mi ero reso conto di non aver completato il mio lavoro: mi ero perso l’interno delle case. Da qui l’esigenza di ritornare in quei luoghi e di descrivere altri punti di vista. Per completare il documentario sulla Domitiana sono stati necessari sei anni. Per questo progetto ne sono serviti altri tre, anche perché una volta entrati nel Parco Saraceno, non ne esci più. Magari per il capitolo conclusivo di questa trilogia impiegherò solo un anno (ride)”.  

“Lavorare con gli immigrati e con persone che occupano illegalmente delle abitazioni non deve essere stato facile, in termini di fiducia, all’inizio…”                                                                                 
“La fiducia deve essere conquistata. Ho fatto capire loro che il nostro progetto  non era finalizzato a speculare su una situazione, quanto piuttosto uno studio antropologico. Volevo che emergesse la loro umanità. Credo di esserci riuscito. Giusto per dire, quando il documentario è stato presentato al Festival di Roma, un gruppetto degli abitanti del Parco Saraceno è venuto a darmi manforte. Durante la proiezione ho visto uno di loro che piangeva sommessamente, in disparte”.     

“Tra quelli rappresentati nel documentario, quali sono i personaggi ai quali sei più affezionato?”   “Sicuramente Vincenzo, il parcheggiatore, e Costantino, l’uomo che si diverte a proclamare dal terrazzo”.                                                                                                                                                                 
“Ciò che lega i due progetti”,   prosegue , “è il concetto della integrazione, un tema al quale sono legato. Credo che l’immigrazione sia un elemento fondamentale:  comporta uno scambio culturale. Geograficamente parlando, l’Italia è in una posizione privilegiata. E’ un peccato che non si sia ancora verificato del tutto il processo di integrazione culturale. Negli Stati Uniti, per esempio, convivono razze diverse; ciò garantisce un proficuo scambio di idee, permettendo così una continua evoluzione.
Il tema dell’integrazione è il fulcro centrale di un mio altro documentario: "Arapha – Ragazza dagli occhi bianchi",  in cui parlo di questa ragazza affetta da albinismo che vive in Tanzania. Una sorta di razzismo al contrario ”.                                                                                                           

“Parliamo un po’ degli aspetti tecnici…”                                                                                                 
“Ritratti abusivi è stato girato con una Canon 5d mark II, una macchina fotografica che permette di realizzare anche dei filmati di ottima resa. Ovviamente, rispetto ad un lungometraggio di finzione, girare un documentario presenta delle difficoltà oggettive: è tutto improvvisato, devi seguire l’istinto e, in un certo senso, prevedere quello che sta per accadere…”                                           

“Il film è stato proiettato in anteprima proprio al Cineclub Vittoria: quando uscirà nelle sale Ritratti abusivi?” 
“A marzo. L’Istituto Luce si occuperà della distribuzione,  poi, dopo l’uscita in home video, verrà proiettato su Rai Uno”. 
                                                                                                                               
“Ho notato che i registi casertani trattano spesso argomenti  delicati nelle loro opere. In Esterno sera  Barbara Rossi Prudente parla di incesto, Animanera  di Raffaele Verzillo ruota intorno alla figura di un pedofilo. Tu parli di immigrazione e mini criminalità. C’è questa tendenza a scavare nella superficie e andare in profondità…”
“Beh, immagina di entrare in una stanza per la prima volta: inizialmente osserverai le pareti, poi, a mano a mano, scoprirai degli oggetti che non avevi visto e ti soffermerai sui particolari più piccoli. Il compito del regista è proprio questo: approfondire sempre di più”. 

“C’è qualche altro progetto documentaristico che ti ha colpito, recentemente?”                            
“Certo. The act of killing, di Joshua Oppenheimer”.

“Un’ultima domanda: dopo tanti documentari, non hai voglia di lanciarti in un lungometraggio di finzione?” - “Sì, ho un’idea per un film che oscilla tra il drammatico e il surreale. Un po’ alla David Lynch ” . - “Quello di Elephant man o di Mulholland drive?” - “Quello di Strade perdute”.

Si ringrazia vivamente Romano Montesarchio per questa chiacchierata così stimolante e ricca di spunti interessanti, e il Cineclub Vittoria di Casagiove, da sempre sinonimo di cultura, per aver accolto favorevolmente la proiezione di questi due notevoli docufilm.

E’ da sottolineare, infine, il grande coinvolgimento da parte degli spettatori che, interessati ai temi trattati, hanno fatto diverse osservazioni e posto numerose domande al regista, al soggettista Vincenzo Ammaliato, al musicista Massimiliano Gaudio e al montatore Davide Franco.

© Articolo realizzato da Christian Coduto il 2 Febbraio 2014

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